Alimurgia: differenze tra le versioni

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== Collegamenti esterni ==
*{{cita web |autore= |titolo=Le piante spontanee di interesse alimentare nella Regione Etnea |sito= |url=http://www.dipbot.unict.it/alimurgiche/piantespontanee.aspx |lingua=it |accesso= |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160310054941/http://dipbot.unict.it/alimurgiche/piantespontanee.aspx |dataarchivio=10 marzo 2016 |urlmorto=sì }}
*{{cita web |autore= |titolo=Piante alimurgiche del Veneto |sito= |url=http://www.venetoagricoltura.org/upload/pubblicazioni/Completo%20x%20web.pdf |lingua=it |accesso=}}
*''[http://www.pfaf.org/user/edibleuses.aspx Plants for a Future]''


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L'alimurgia è la scienza che riconosce l'utilità di cibarsi di determinate piante selvatiche che sono edibili, soprattutto in tempi di carestie o semplicemente per scopi salutistici. Tali piante sono dette piante alimurgiche se appunto commestibili, e perciò prive di sostanze velenose o comunque dannose per l'organismo.

Il termine alimurgia fu coniato del medico e naturalista fiorentino Giovanni Targioni-Tozzetti (1712-1783) nel trattato De alimenti urgentia (1767), opera che trattava della possibilità di far fronte alle carestie, ricorrendo all'uso dei prodotti spontanei della terra e principalmente delle verdure.[1]

Le parti commestibili (o edùli) di una pianta possono essere diverse: foglie, fusto, germogli, fiori, radici, tuberi, bulbi e bacche.

Alcune piante alimurgiche

Note

Bibliografia

  • Indrio F., 1981. Piante selvatiche commestibili. Ed. Ottaviano, Milano.
  • Kuster H., 1989. Il libro delle erbe aromatiche. Garzanti, Milano.
  • Lanzani Abbà A., 1960. Il prato nel piatto. Mondadori, Verona.

Voci correlate